Commettere errori nello storytelling è molto frequente, nonostante proprio lo storytelling sia una delle tecniche più efficaci da applicare per avere successo nel campo della comunicazione online e offline. Abbiamo ripetuto molte volte come raccontare una storia può aiutare un brand o un’azienda ad avvicinarsi al proprio pubblico e a essere percepito come più umano. Tuttavia il fatto che lo storytelling sia vecchio quanto l’uomo non fa di chiunque uno storyteller professionista.
Troppo spesso si assiste a tentativi goffi che più che raccontare una storia possono trasformarsi in veri e propri incubi soprattutto per le aziende e i marchi in questione che devono lavorare settimane, se non mesi, per cercare di riabilitarsi agli occhi dei propri clienti, anche potenziali. Ma quali sono gli errori di storytelling più comuni da non commettere per evitare brutte sorprese?
1. Svelare troppe informazioni
Il segreto del successo di una strategia di storytelling è coinvolgere a tal punto il proprio interlocutore da spingerlo a immedesimarsi e sognare insieme a noi. Per farlo occorre lavorare per raccontare quanto è necessario per rappresentare il contesto nella maniera corretta, ma senza scendere troppo nei dettagli o svelare ogni cosa. L’unica maniera per avvincere lo spettatore o il lettore, infatti, è proprio lasciare qualche vuoto in modo da spingere il nostro interlocutore a identificarsi a tal punto con la situazione raccontata da riempire questi spazi con le proprie esperienze o immaginazione.
2. Volere stupire a tutti i costi
Anche lo storytelling, come altre forme di comunicazione, ha i suoi cliché e il finale a sorpresa o la ricerca spasmodica di provocare stupore sul cliente finale è uno di questi. Si tratta di un cliché così generalizzato e conosciuto che persino gli utenti ne sono consapevoli e molti sono addirittura in grado di prevedere cosa accadrà e dove lo inseriremo. Per questo, se la storia in questione non dovesse prestarsi oppure se non dovesse trattarsi di una situazione autentica o probabile è meglio evitarlo del tutto. Inserire questo elemento, infatti, toglierebbe veridicità all’intera storia e potrebbe rischiare di fare naufragare irrimediabilmente l’intera strategia.
3. Non parlare dei fallimenti
La comunicazione di un’azienda, un prodotto, un marchio o un servizio è fatto per iperboli: tutte le aziende sono leader del mercato, ogni prodotto è il prodotto dell’anno, ogni servizio è più conveniente e funzionale rispetto a quello dei competitor e ogni marchio è garanzia e sinonimo di qualità. Questa eccessiva e generalizzata perfezione finisce per stancare l’utente finale con il risultato che inizierà a non credere più nemmeno a una parola. Se, piuttosto, ci sono stati degli impedimenti o dei fallimenti più o meno fragorosi che hanno interrotto anche per un breve periodo la nostra attività, è bene farne accenno: nessuno è perfetto e sapere che prima di lanciarlo sul mercato un prodotto è stato modificato e migliorato per intervenire su determinati errori tecnici, non potrà che farci guadagnare dei punti. Ovviamente questo tipo di narrazione non va fatta in ottica vittimistica, nel qual caso si commetterebbe un grave errore di storytelling. Al contrario, lo scopo è dimostrare come l’azienda è in grado di superare ostacoli imprevisti ed è sempre in grado di trovare le soluzioni migliori per offrire ai propri clienti prodotti e servizi di valore.