Come deve porsi il formatore in aula? Come deve gestire la comunicazione non verbale? Come deve usare il linguaggio del corpo? Non smettiamo mai di comunicare, nemmeno quando siamo in silenzio. Il nostro corpo continua infatti a parlare e a lanciare messaggi al nostro interlocutore o a chi semplicemente ci osserva. Si tratta di una comunicazione non verbale da ascoltare con gli occhi, per usare una sinestesia pertinente.
Scopriamo come il formatore deve rapportarsi alla comunicazione non verbale, in particolare nei riguardi della cinesica e della prossemica.
La cinesica è la scienza che studia il linguaggio del corpo
Oltre a quello che viene comunicato attraverso le parole, esistono una serie di altri messaggi che passano attraverso i movimenti del corpo. Si tratta di segnali prevalentemente inconsci, involontari o destinati ad accompagnare un discorso; un soggetto, osservando il suo interlocutore compiere determinati gesti, potrà raccogliere sensazioni, impressioni, informazioni sulla persona che ha di fronte.
Con le parole si può mentire, ma con la gestualità fisica no, poiché questa ha a che vedere con un mondo inconscio, difficilmente controllabile dalla volontà. Un’altra caratteristica dei movimenti cinesici è l’universalità: un determinato gesto è in genere condiviso da tutti i popoli del mondo.
Nel campo della formazione, è molto importante comunicare non solo attraverso le parole, ma anche attraverso la mimica facciale e la gestualità. Gli studenti presenti in aula saranno agevolati nella comprensione grazie al linguaggio del corpo, che permetterà di sottolineare determinati concetti importanti e attribuire una connotazione emozionale, e quindi più impressiva, agli argomenti che vengono insegnati a lezione. In questa maniera gli studenti potranno ricordare meglio le informazioni.
In particolare, il formatore deve abituarsi a marcare le informazione più importanti con gesti finalizzati a sottolinearne l’enunciazione. Per esempio muovendo le braccia verso il basso, flettendo leggermente la testa, fermandosi se sta camminando durante l’esposizione dei concetti. Molta attenzione va fatta all’espressione del volto: chi parla mantenendo sempre la stessa espressione del viso risulta molto più noioso e pesante di chi accompagna i propri contenuti con sorrisi e cambiamenti rapidi della mimica facciale. Inoltre, i sorrisi stabiliscono facilmente una risonanza emotiva positiva con chi ascolta e in questo modo le barriere che possono essere sollevate dai discenti verso il docente si abbassano considerevolmente, rendendo più facile al formatore ottenere un solido consenso e soddisfare il suo pubblico.
La prossemica è invece il modo in cui ci si relaziona con lo spazio intorno al corpo
Si tratta, come nel caso della cinesica, di una strutturazione inconscia che ha a che vedere con i cosiddetti microspazi. Il comportamento di un soggetto nello spazio fa riferimento al territorio intorno al corpo della persona che si chiama zona o area personale. La sua dimensione tende a variare a seconda della cultura di riferimento e a seconda del contesto sociale a cui ci riferiamo. Ogni contesto infatti ha le sue regole riguardo alle distanze da tenere tra le persone. Ad esempio in discoteca si tenderà a ridurle, come anche su un autobus nell’ora di punta, mentre la zona personale si espande nei luoghi meno affollati.
Nel campo della formazione, è bene che il formatore non stia in posizioni di chiusura; va mostrato un atteggiamento aperto e accogliente, e non timoroso e chiuso. Per aumentare il livello di fiducia e di coinvolgimento degli studenti, potrebbe essere utile che il formatore non rimanga trincerato dietro una cattedra, interponendo distanza tra la platea e il proprio spazio personale. Meno il pubblico dei discenti percepisce l’assenza della cosiddetta “quarta parete”, quella barriera ideale che separa chi si trova in cattedra o su un palco a parlare e chi ascolta dalla platea, maggiore è il coinvolgimento e quindi la predisposizione all’apprendimento. Per abbattere la quarta parete è utile che l’insegnante si sposti, si muova in direzione degli alunni, sia per catturare meglio la loro attenzione, evitando distrazioni, sia per comunicare apertura e un intento relazionale diretto con i suoi interlocutori.
Un altro aspetto da curare sempre allo scopo di ridurre la distanza tra formatore e allievi sono gli sguardi che il formatore stesso rivolge alla platea. Se si trova a insegnare a un numero non troppo alto di persone, durante la sua lezione il docente deve guardare continuamente negli occhi i suoi discenti, passando da una viso all’altro senza interruzione. In questo modo potrà raccogliere continuamente informazioni utili riguardanti il livello di attenzione, il consenso orientativo che riscuote man mano che esprime idee e concetti e anche la comprensione media di quello che ha spiegato. In funzione di quello che va rilevando momento per momento, il formatore abile potrà decidere come proseguire con la lezione: marcando maggiormente le parole con gesti e toni della voce per riattivare l’attenzione, ripetendo con altre parole un concetto che si è rivelato astruso, provando a fare delle domande o a indire un rapido question time per capire meglio cosa non è chiaro o va approfondito o, in casi estremi, proporre una pausa per rinfrancare i discenti. Un altro vantaggio degli sguardi diretti è quello di stabilire una sorta di rapporto emotivo con ciascun interlocutore in classe, che si sentirà molto più coinvolto direttamente e quindi tenderà a stare più attento e a valorizzare maggiormente quello che il docente dice.
E se la classe è troppo ampia? In questo caso gli sguardi diretti non sono più possibili per via della distanza e dell’eccessivo numero delle persone. Ma anche in queste condizioni il formatore deve sempre guardare dritto verso la platea e dirigere lo sguardo e l’intero atteggiamento del corpo continuamente in più direzioni, in modo da dare la sensazione di parlare verso ogni porzione di pubblico presente.