Il Facebook Journalism Project è il nuovo programma operativo di Facebook mirante a sviluppare le potenzialità editoriali e giornalistiche del social network blu. A illustrarlo è stato Fidji Simo, Director of Product assegnato al progetto, nel post Introducing: The Facebook Journalism Project pubblicato l’11 gennaio in uno dei blog di Facebook dedicato agli sviluppi mediatici della piattaforma.
In cosa consiste il Facebook Journalism Project
In sintesi estrema, Menlo Park intende creare un legame più strutturato e diretto tra il social network e il mondo dell’editoria giornalistica. La prospettiva, spiega Simo, sarà di “collaborare con aziende che producono notizie giornalistiche per sviluppare nuovi servizi, apprendendo dai giornalisti le modalità con cui potremo essere dei partner migliori e lavorando con gli editori e i docenti per capire come possiamo fornire alle persone le competenze che servono per essere lettori informati e consapevoli nell’era digitale”.
Un programma dal timbro ambizioso, che si articola in tre punti.
1. Sviluppo collaborativo di prodotti per le news
Il primo punto è lo sviluppo collaborativo di prodotti e tecnologie pensati appositamente per le news. Saranno creati nuovi formati per la pubblicazione di storie e contenuti da affiancare e integrare alle funzionalità già implementate nella piattaforma, come Live, 360, Instant Articles, etc. Una direzione potrà essere quella di aggregare in un unico formato più notizie correlate, in modo da permettere agli utenti di vedere più storie contemporaneamente dalle testate che seguono di più. Sarà anche dato spazio più ampio alle notizie locali, con un occhio di riguardo agli editori indipendenti, che potranno essere anche singoli giornalisti capaci di fornire informazioni di valore.
In questo ambito anche il fronte del marketing trarrà beneficio dalle innovazioni. L’idea è quella di favorire l’iscrizione a vari servizi informativi sfruttando l’incremento di interesse verso il comparto notizie.
Lo sviluppo di queste nuove soluzioni tecnologiche e funzionali sarà incentivato da un piano di hackathon in cui gli sviluppatori di Menlo Park si confronteranno con sviluppatori di altre aziende editoriali per trovare nuove idee e tecnologie da implementare. Il dialogo continuo con queste aziende sarà proprio il motore per inventare nuove modalità di fruizione e pubblicazione delle notizie all’interno di Facebook.
2. Corsi di formazione e tool per i giornalisti
Il secondo punto consiste innanzi tutto in un programma formativo rivolto specificamente ai giornalisti: in partnership con Poynter sarà creato un nuovo certificato che i giornalisti potranno acquisire in seguito a un corso ad hoc.
In secondo luogo si lavorerà al varo di nuovi tool che i giornalisti potranno utilizzare. Tra questi CrowdTangle, uno strumento acquisito di recente da Facebook, che permette di rilevare storie e notizie interessanti, misurare la loro performance nei social e identificare gli influencer più attivi su ciascun argomento. In pratica è uno strumento utile a quel tipo di giornalismo basato soprattutto sulla ricerca di notizie di tendenza e più seguite nei social network.
Inoltre, sarà dato un support ulteriore al giornalismo collaborativo che ha la sua forza nel contributo di professionisti esterni alla redazione. A questo fine sarà introdotto un nuovo ruolo nelle pagine Facebook, ossia quello del “Contributore”. Il Contributore sostanzialmente potrà rappresentare la pagina con i suoi contenuti anche in contesti esterni alla pagina stessa.
Infine, sempre nella linea di sostenere un giornalismo collaborativo affidabile, Facebook rinforzerà il rapporto con il First Draft Partner Network, di cui è membro: “una coalizione di piattaforme ed editori che lavorano insieme per fornire una guida pratica ed etica nelle modalità con cui reperire, verificare e pubblicare contenuti provenienti direttamente dalle fonti social del web”, per usare le parole di Simo.
3. Corsi di formazione e tool per tutti
Il terzo punto del Facebook Journalism Project è la creazione sia di azioni di formazione sia di tecnologie integrate in Facebook utili a migliorare la piattaforma in merito alla qualità delle news pubblicate. L’obiettivo è promuovere una maggiore cultura sul valore e l’affidabilità delle notizie e contemporaneamente limitare la diffusione e la condivisione di notizie false e tendenziose. In questo senso, chiarisce Simo, “è stato avviato un programma di lavoro con organizzazioni esterne a Facebook dedite al fact checking che hanno sottoscritto il Poynter’s International Fact Checking Code of Principles, allo scopo di identificare le bufale e le notizie screditate in Facebook”.
Le due vere ragioni del Facebook Journalism Project
Per comprendere le ragioni che stanno spingendo Zuckerberg e compagni ad aprire un intero protocollo operativo al fine di sostenere le attività giornalistiche in Facebook, bisogna guardare innanzi tutto ai fatti recenti relativi alle elezioni presidenziali americane. L’elezione di Trump, che ha sorpreso la maggior parte dei giornalisti statunitensi, fu inizialmente addebitata in buona parte alla spropositata circolazione di notizie false in Facebook, tutte a svantaggio della Clinton, che ha preso il sopravvento sulle informazioni affidabili e circostanziate veicolate dalla maggioranza dei giornali. In questa lotta di buona informazione – sui giornali e i media tradizionali – contro cattiva informazione – sui social network – Facebook è stato stigmatizzato come il male assoluto della comunicazione mediatica: una bufala ben costruita in Facebook si diffonde molto più rapidamente di una notizia vera ma meno scandalistica proprio per le caratteristiche intrinseche di Facebook e dei suoi algoritmi, che finirebbero per premiare sistematicamente alcuni contenuti rispetto ad altri.
Zuckerberg inizialmente ha reagito alle accuse alla sua piattaforma con sufficienza, definendole sostanzialmente una fandonia. Ma appena ha capito che l’opinione pubblica, in qualche modo sobillata dai vecchi media in cerca di rivalsa, ha iniziato a guardare con sospetto alle modalità di diffusione dei contenuti in Facebook, ha dovuto subito pensare un modo per metterci una pezza. E la pezza è proprio il Facebook Journalism Project, che serve innanzi tutto a comunicare al mondo che Menlo Park non è insensibile al problema del dilagare di notizie false nella propria piattaforma.
Ma non è tutto qui. Anzi, per molti versi questa è solo la superficie del problema. Da un po’ di mesi infatti il vero nodo cruciale dello sviluppo di Facebook è la presa d’atto che le statistiche di utilizzo della piattaforma hanno dei cedimenti abbastanza preoccupanti. E non tanto nel numero di utenti, nel tempo impiegato, nelle attività, ecc., quanto sul piano delle azioni svolte. Come riporta The Economist, “in novembre Facebook ha dovuto ammettere dei difetti nel modo in cui stava misurando il suo traffico di utenti (per la seconda volta in poche settimane, dopo avere svelato che aveva sovrastimato il tempo medio di visualizzazione degli annunci video). Questa volta ha dovuto dichiarare che altri dati, inclusa la quantità di clic dai post in Facebook verso app o siti esterni, erano più ridotti rispetto a quelli precedentemente annunciati”.
Un problema non da poco, soprattutto se visto nella prospettiva degli investitori pubblicitari ed editoriali. In pratica, i contenuti editoriali in Facebook – che per lo più vengono spinti anche da investimenti pubblicitari mirati – ottengono risultati minori rispetto a quelli attesi. È naturale che se la tendenza rimane questa è un bel colpo al valore dell’advertising in Facebook. E se Zuckerberg può permettersi di liquidare con un sorriso sardonico le accuse che Facebook sarebbe il primo canale di diffusione di bufale americano, non può certo ignorare il rischio di una riduzione degli investimenti pubblicitari o del loro valore.
La prima vera ragione: contrastare il calo dei clic sui post
La domanda chiave dunque è: perché gli utenti cliccano sempre meno sui contenuti? Una risposta a questo punto può essere: perché la qualità media dei contenuti si sta abbassando considerevolmente, a causa delle azioni di editori e pubblicatori spregiudicati che puntano essenzialmente a ottenere clic facili con notizie caricate di un sensazionalismo che poi non corrisponde alla sostanza (il fenomeno del clickbait), o nei casi peggiori con la diffusione di notizie false quanto apparentemente sbalorditive e credibili. Se in una prima fase questo pullulare di notizie scandalistiche o di bufale ha prodotto un incremento di clic, dal quale anche lo stesso Facebook inizialmente ha tratto beneficio, la saturazione sta ora portando un effetto contrario: gli utenti sono sempre più stufi di cliccare per trovare notizie inconsistenti. Intervenire sulla qualità generale delle notizie introdotte nella piattaforma è quindi la prima risposta al problema del calo dei clic.
Quindi la criticità si basa su due componenti, ben sintetizzate da Brian Wieser di Pivotal Research: “Il focus sulle notizie false unito alle preoccupazioni sui dati della pubblicità potrebbe realmente tagliare la crescita degli utili di Facebook di un paio di punti di percentuale”. Ecco, questo davvero spaventa Zuckerberg. E questa è la prima vera ragione per cui nasce il Facebook Journalism Project.
La seconda ragione: porre le basi per una piattaforma editoriale interna a Facebook
Ma c’è una seconda ragione. Chi conosce bene le dinamiche funzionali di Facebook sa bene che l’intento del team di Menlo Park è mantenere gli utenti quanto più possibile all’interno di Facebook in tutte le interazioni e l’engagement sviluppato. In pratica, non piace a Zuckerberg e soci che gli utenti escano dalla piattaforma, perché, essenzialmente, una volta che una persona esce da Facebook, Facebook non guadagna più su quella persona.
Ecco allora che l’intero Facebook Journalism Project punta in prospettiva a creare una nuova piattaforma editoriale interna a Facebook – di cui gli Instant Articles sono soltanto la punta dell’iceberg – che porterà il miglior giornalismo a trovare un luogo naturale di pubblicazione direttamente all’interno di Facebook, piuttosto che usare Facebook come semplice cassa di risonanza a pagamento. In questo modo, Facebook avrebbe buon gioco ad attrarre a sé le migliori intelligenze giornalistiche in barba ai potentati editoriali che tuttora rappresentano degli antagonisti – sebbene spesso anche facoltosi clienti – del social network. E per ottenere questo risultato, Zuckerberg segue alla lettera il monito di Giulio Cesare “se non puoi sconfiggere il tuo nemico, fattelo amico”. Zuckerberg e soci sanno bene che è ancora troppo presto per scalzare i media tradizionali dalla loro posizione dominante nel settore della pubblicazione di notizie giornalistiche. Quindi la tattica giusta è quella di partire con un’apparente alleanza. Che nel tempo potrebbe risultare una delle più grandi trappole tese ai vecchi media mai ordite nella storia.