Il video di Report contro Amadori in cui vengono mostrati alcuni ambienti dove vengono allevati suini e polli ha generato un vero e proprio coro di critiche rivolte all’azienda. Questa ha risposto innanzi tutto mediante un ampio comunicato stampa molto rigido che ha avuto l’effetto di incendiare gli animi degli utenti del web anziché calmarli. Prevedibile: replicare con parole ingessate alle immagini estremamente impressive di un video molto carico dal punto di vista emotivo è un errore grossolano. Le ragioni sono principalmente due: un video mostra i fatti, mentre le parole semplicemente li dichiarano senza dimostrarli direttamente; un video è fortemente emozionale e coinvolgente, un comunicato testuale è molto freddo e compassato, ma soprattutto sono molto pochi gli utenti del web disposti a leggerlo con attenzione.
Alla prima ondata, pressoché incontenibile di opinioni negative contro l’azienda provocate dal servizio di Report, Amadori il 3 giugno decide di reagire con una duplice azione: la pubblicazione di un secondo comunicato in cui illustra i valori dell’azienda; la ripresa di un vecchio video del 2013 che mostra uno degli allevamenti pugliesi con caratteristiche virtuose. La risposta degli utenti, ovviamente, è rimasta indignata ed è facile capire il perché:
- il video non è costruito per rispondere direttamente al servizio di Report, quindi è poco efficace ai fini di controbattere con fatti concreti alle riprese del team Gabanelli;
- si tratta di un video istituzionale, sostanzialmente uno spot pubblicitario, che quindi ha pochissima credibilità agli occhi del consumatore;
- il comunicato stampa, questa volta più discorsivo rispetto a quello precedente, rimane caratterizzato da un tono in cui l’azienda comunica dall’alto della sua torre d’avorio a un pubblico di consumatori che dovrebbe recepire le sue informazioni passivamente, dinamica che ovviamente è impensabile e improponibile nel Web 2.0;
- il comunicato, tra l’altro, fa riferimento agli esiti positivi dei controlli dei NAS, ma nel 2015 la notizia – di facile reperibilità in rete – di un’ispezione effettuata dagli stessi NAS nell’azienda ha rilevato proprio irregolarità su analisi e controlli per polli contaminati da salmonella: proporre come punto di forza a proprio vantaggio un argomento che è invece smaccatamente un tallone d’Achille non è certo geniale come tattica di comunicazione…
La novità, rispetto a qualche giorno fa, è che numerosi dipendenti di Amadori hanno iniziato a prendere posizione in difesa dell’azienda. La pagina Facebook di Amadori è attualmente pervasa da un continuo e accesissimo contraddittorio tra i dipendenti stessi che sostengono le modalità operative dell’azienda e i consumatori inorriditi dal video di Report. Il confronto assume toni raramente concilianti, com’è normale in questi casi.
Ovviamente il peso specifico del punto di vista di un dipendente, che è una persona e quindi consente una relazione più diretta e spontanea, è molto maggiore rispetto a quello dell’azienda che parla suonando il suo trombone. Ma ovviamente resta che la posizione di un dipendente è percepita come viziata da un interesse personale, che ne mette in forte dubbio la credibilità.
Non sappiamo se l’improvviso contrattacco dei dipendenti alla fiumana di ingiurie cadute su Amadori sia stata indotta dallo stesso management dell’azienda come manovra per tentare di arginare dal basso lo tsunami suscitato da Report. A leggere lo stile dei commenti e la mancanza di conformità nelle risposte prodotte c’è da credere che si tratti piuttosto di un’azione spontanea delle persone che lavorano nell’azienda, generata dalla percezione del rischio di perdere il lavoro se questo episodio dovesse determinare un calo consistente delle vendite. Una reazione più che legittima, che il management Amadori potrebbe sicuramente gestire meglio, fornendo indicazioni dettagliate e precise su cosa replicare e come.
Il problema però rimane quello già evidenziato nella nostra analisi precedente, ossia la necessità di fare ricorso ad azioni strutturali finalizzate a fare un riposizionamento in chiave “green” dell’azienda. Contemporaneamente l’azienda deve reagire in modo capillare e, soprattutto, multimediale – occorrono presto nuovi video capaci di illustrare la situazione degli stabilimenti, posto che, come l’azienda dichiara, non ci sia nulla da nascondere… – al suo pubblico, portando dei rappresentanti ufficiali dell’azienda a rispondere puntualmente e in modo dialettico alle considerazioni degli utenti del web. Un lavoro dalle proporzioni immani, ma indispensabile per tentare di canalizzare l’onda d’urto del dissenso verso toni più stemperati.
Come abbiamo già detto nel nostro articolo precedente, le critiche dei vegani e dei vegetariani non si possono contrastare, perché ovviamente il loro e quello dell’azienda sono universi paralleli. Però è possibile provare a ristabilire un dialogo positivo con gli onnivori, i quali al momento nutrono rabbia verso l’azienda perché si sono sentiti traditi. Il lavoro di comunicazione – e di ristrutturazione in direzione “green” – deve puntare a riconquistare la fiducia dei consumatori e per fare questo ovviamente non bastano un paio di comunicati stampa e un vecchio video pubblicitario. Occorre ripristinare – o meglio ricostituire di sana pianta – un dialogo positivo e trasparente con i consumatori, creando canali di customer care e linee di dialogo online, introducendo contenuti capaci di mostrare a ritmo incessante tutti gli aspetti positivi della produzione. Il tutto utilizzando uno stile di comunicazione più diretto e personale e, soprattutto, dialettico. All’azienda in questo momento non occorrono comunicati ufficiali, che il grande pubblico ignora e i grandi siti editoriali guardano con sussiego. Serve una schiera di “dialogatori” capaci di parlare al pubblico e spiegare, illustrare, raccontare l’azienda e le sue prospettive, con un occhio costante all’impianto legislativo vigente, al quale scaricare le responsabilità di alcuni degli aspetti meno accettabili della modalità di produzione zootecnica attuale.