Quando si scrive un post con finalità di comunicazione di marketing, o in generale un contenuto online, come ci si deve rivolgere ai propri lettori? Meglio dare del tu o del voi? O conviene usare una forma più impersonale, evitando di interpellarli direttamente? Sono questioni basilari, che determinano buona parte del grado di coinvolgimento (o non coinvolgimento) del lettore prodotto dal contenuto.
La relazione con i lettori quando Internet non c’era
Chi ha buona memoria, sa che gli articoli giornalistici precedenti all’era Internet erano quasi sempre sviluppati in modo da non chiamare mai in causa direttamente il lettore. Chi scriveva per quotidiani e riviste non si esprimeva mai richiamando l’attenzione del pubblico in modo personale. Esisteva una separazione forte tra chi stava alla macchina da scrivere e produceva testi e chi li leggeva. Non era previsto, né richiesto, alcun tipo di coinvolgimento o di stimolazione diretta dell’attenzione del lettore. Chi fruiva dei contenuti rimaneva comunque passivo ed esterno alla produzione del testo, quindi non esisteva la necessità di provocare l’espressione di punti di vista sui contenuti. Anche perché questi punti di vista comunque non avrebbero superato la ristretta cerchia di amici o conoscenti del lettore e si sarebbero estinti in un rapido giro di voce, non essendo il lettore abilitato a lasciarne traccia sui media.
I copywriter, al servizio della comunicazione di marketing, avevano come unico obiettivo quello di orientare il pubblico agli acquisti. In questo senso non era nelle loro intenzioni suscitare opinioni, ma di generare azioni specifiche. Convincere il pubblico delle qualità del prodotto e indirizzare a un acquisto: questo era tutto quello che occorreva. Il coinvolgimento in una relazione personale serviva a poco, a meno che non fosse utile a marcare le emozioni collegate al prodotto che potessero generare l’azione di acquisto. Il pubblico era solo un bersaglio, su cui sparare in vari modi per ottenere degli effetti economici. Un bersaglio (target), non delle persone con cui parlare.
In sostanza né i giornalisti né i copywriter si ponevano il problema di come relazionarsi ai lettori. La relazione, semplicemente, non c’era: loro scrivevano, i lettori fruivano. Il coinvolgimento era solo un effetto utile a generare una maggiore incisività nei contenuti proposti e non serviva in nessun modo a creare relazione. Di conseguenza il dubbio sul tu o il voi era risolto a monte. Perlopiù i giornalisti non si rivolgevano in modo diretto in nessun modo ai loro lettori. I copywriter in generale usavano il voi – e in qualche sporadico caso il tu – per portare il lettore a dire: “Effettivamente questo messaggio sta parlando proprio a me… devo seguire il suo consiglio”.
Come rivolgersi ai lettori nell’era di Internet
Con l’avvento di Internet prima e del Web 2.0 dopo, nasce l’esigenza di stabilire un piano solido di relazione con i lettori. Essenzialmente perché ogni lettore diventa capace di comunicare a sua volta negli stessi media utilizzati dai giornalisti e dalle aziende. Nei casi di minore impatto pubblicando un commento, in quelli più avanzati tramite la gestione di un blog personale, che alle volte può raggiungere un livello di influenza sugli utenti del web non inferiore a quello dei grandi prodotti editoriali.
Dal momento in cui è necessario stabilire un contatto diretto con i lettori, evitando se possibile di ricevere commenti negativi o pareri avversi, la questione di come stabilire un dialogo personale diventa centrale. La comunicazione non è più a senso unico, ma diventa bidirezionale, ossia un dialogo, e quando si dialoga la prima domanda da porsi è proprio come interloquire con la persona con cui si conversa.
Se dunque il problema è quello della massima efficacia della conversazione, si può dire che è il problema stesso a indurre la soluzione: si deve usare la forma relazionale (tu, voi o impersonale) più congeniale al tipo di rapporto che effettivamente c’è con chi legge. Per capire volta per volta qual è bastano poche semplici riflessioni da fare.
- Qual è la reader persona, ossia il lettore ideale al quale si rivolge chi scrive?
- Quali sono le competenze della reader persona?
- Chi scrive in che rapporto sarebbe con la reader persona, se l’avesse davanti in un dialogo a voce?
Basta dare una risposta corretta a queste tre domande per intendere quale piano di relazione è perfetto per i propri post. In particolare si può capire subito se si può dare del tu al lettore o viceversa se l’uso del tu è controproducente perché può indisporre il lettore.
L’uso del tu
A ben vedere, l’uso del tu nella letteratura, nel giornalismo e anche nella pubblicità è sempre stato molto raro. La ragione è semplice: il tu presume una confidenza pregressa, un rapporto consolidato tra i due interlocutori, che nasce da una frequentazione assidua e da un dialogo che si è sviluppato nel tempo in modo significativo. Nella maggior parte dei casi l’uso del tu non è un punto di partenza in un dialogo, ma un punto di arrivo, ossia è il modo di marcare un dato di fatto acquisito: siamo in confidenza, e questa confidenza deriva dal tipo di rapporto che abbiamo costruito (per esempio perché abbiamo parlato a lungo o ci conosciamo da tempo) o dal fatto che la situazione relazionale in cui ci troviamo ci consente di avere una relazione informale (perché per esempio siamo a una festa).
Online non è diverso. Bisogna sempre tenere presente che l’universo online non è altro che una trasposizione di situazioni del mondo “offline” in contesti di comunicazione mediati dal computer e da specifiche infrastrutture software. Anche online sono le persone a parlarsi e quindi i loro schemi sociali e psicologici non mutano nella sostanza.
In questo senso, l’uso del tu online è sempre bene accetto in due casi:
- quando una persona si conosce direttamente, o nel mondo reale o attraverso precedenti conversazioni online;
- quando ci si trova in un contesto di comunicazione collettiva one-to-one o many-to-many in cui si dà per scontato che chi vi si trova accetta un dialogo diretto e informale con tutti gli altri utenti (i social network sono un esempio perfetto di questi contesti).
In tutti gli altri casi, l’uso del tu è rischioso e forzato. In alcuni è perfino fastidioso, perché viene percepito come una sorta di violazione della privacy (riducendo la distanza interlocutoriale si percepisce l’altro come un invasore del proprio spazio personale o come qualcuno che pretende un livello di confidenza che non gli è stato concesso). In altri casi ancora, può venire interpretato addirittura come un atteggiamento di superiorità e di saccenza: non sono pochi i blogger che usano il tu per dispensare consigli e regole su cosa fare e come pensare; l’uso del tu però li fa somigliare a delle maestrine che educano dei bambini al corretto comportamento, con la differenza sostanziale che i loro lettori possono essere anche delle persone che sull’argomento ne sanno almeno quanto loro se non più di loro. Questi ultimi troveranno sempre estremamente irritante che qualcuno al quale non hanno ancora accordato fiducia gli spieghi come devono agire o ragionare, con un tono simile a quello usato con quegli ignoranti a cui si deve insegnare tutto.
Per questa ragione, un blogger aziendale che ha come reader persona un professionista o un esperto del settore che deve valutare le competenze dell’azienda attraverso i suoi contenuti non dovrebbe mai usare l’interlocuzione diretta e confidenziale tipica del tu – e, peraltro, dovrebbe evitare di essere eccessivamente categorico e perentorio nelle sue affermazioni, perché rischierebbe di urtare la suscettibilità dei suoi lettori di riferimento.
Blog vs. social network
Da un punto di vista delle dinamiche di comunicazione, un blog di per sé non costituisce un contesto di comunicazione che stabilisce una relazione tra pari. Il lettore del blog non è mai sullo stesso livello dell’autore: può solo limitarsi a commentare un post e i suoi commenti saranno sempre sottomessi a quel post, non saranno mai percepiti allo stesso livello del contenuto a cui si riferiscono. Fare un commento è come entrare in una stanza privata, di proprietà dell’autore del blog. È per questo che un blog non definisce di per sé un contesto confidenziale: il lettore è sempre un estraneo rispetto a chi scrive, una persona con la quale non c’è un rapporto diretto o immediato. Chi scrive e chi legge non hanno nessuna relazione preesistente. La relazione nasce solo quando è il lettore che decide di entrare in contatto con l’autore tramite un commento o, dove possibile, con un messaggio diretto.
Contesto ben diverso da quello dei social network come Facebook, in cui invece tutti sono pares inter pares e quindi normalmente nessuno ha predominio sugli altri o un ruolo dominante rispetto agli altri (ci sono ovviamente dei casi particolari in cui non è così, ma non sono oggetto di questa analisi). Inoltre, ogni utente di Facebook costruisce una rete di amicizie che devono essere approvate da chi riceve la richiesta. Quando questa approvazione arriva, è come un messaggio che dice: da questo momento noi – anche se non ci conosciamo nel mondo fisico – siamo in relazione diretta e personale, ci siamo accettati. Per questa ragione, a differenza dei blog, gli utenti dei social network si relazionano dandosi immediatamente del tu anche se non hanno mai dialogato prima, rendendo anzi quasi sempre del tutto fuori luogo – se non perfino ridicolo – chi si esprime dando del lei.
Qualche esempio può aiutare a mostrare alcune considerazioni che conviene fare quando si sceglie se dare ai lettori il tu, il voi o mantenersi in un tono relazionale impersonale.
Primo esempio: blog aziendale tecnico
Si scrive per un blog di un’azienda che lavora in ambito B2B e si trattano contenuti tecnici. I lettori ideali sono responsabili di produzione di altre aziende, esperti nel campo, responsabili acquisti, in generale figure con poteri decisionali dotati di competenze elevate, verosimilmente equivalenti a quelle dell’autore del blog. Lo scopo è quello di portare questi lettori ideali a pensare che l’azienda che si rappresenta tramite i post del blog abbia un valore, un’affidabilità, una preparazione tecnica tali da indurre a valutare l’ipotesi di averla come fornitrice. Come rivolgersi ai lettori? Basta chiedersi: incontrando di persona una persona corrispondente a un cliente ideale si darebbe del tu? Ovviamente no. Non a primo acchito, quanto meno. In questo caso allora il blog va condotto evitando il tu. Meglio il voi o, se si vuole dare il massimo risalto al valore del contenuto piuttosto che alla relazione, si può scrivere evitando di chiamare in causa direttamente il lettore.
Secondo esempio: blog di gaming
Si scrive per un blog dedicato a esperti di gaming che fanno parte di una community. La reader persona è un lettore abbastanza informale con attitudini tipicamente giovanili, di cui non importano le competenze professionali e il ruolo sociale, alla ricerca di consigli e dritte da utilizzare nei suoi giochi. In questo caso il tu è legittimo, perché è già presunta l’esistenza di una community in cui tutti in qualche modo sono in relazione e chi legge è comunque già alla ricerca di suggerimenti da parte di una persona alla quale attribuisce delle competenze più forti delle proprie. In alternativa, l’uso del voi però è altrettanto valido e aumenta anzi il senso di community e di partecipazione collettiva alle attività e ai contenuti del sito.
Terzo esempio: blog aziendale rivolto ai consumer sui temi del teen fashion
Il blogger produce contenuti per un’azienda che produce abbigliamento per ragazze teen ager. I temi sono molto emozionali e disinvolti e la scelta è quella di cercare un dialogo diretto con ciascuna singola lettrice, proponendo consigli su tematiche quali migliorare le relazioni con le amiche, costruire un dialogo migliore con i ragazzi, farsi notare e apprezzare. La linea di fondo è quella di convincere le giovanissime lettrici che proprio la cura del proprio abbigliamento è una delle chiavi per il successo. Un contesto relazionale del genere è perfetto per il tu, perché il blogger si pone verso la reader persona come se fosse una sorella maggiore o un’amica più esperta che fornisce suggerimenti indispensabili e originali. È tipico dell’adolescenza infatti il desiderio di una forte privacy con gli estranei contrapposta a una confidenza alta con chi si reputa in grado di dare le giuste ispirazioni per migliorare e apparire come vincenti. Il tu definisce proprio questo rapporto di confidenza, come se il blogger dicesse a ciascuna sua lettrice: “Io sto parlando proprio a te, ti parlo in un orecchio per darti le idee migliori per essere sempre smagliante e considerata come una piccola star”.
Da dove nasce l’uso eccessivo del tu nel content marketing
In realtà moltissimi blogger usano il tu per stimolare i loro lettori, anche quando le condizioni per farlo non ci sono. Addirittura una concezione del content marketing poco attenta alle dinamiche fini della comunicazione consiglia di dare sempre del tu ai lettori. Errore grossolano, che deriva da una lettura poco sagace delle riflessioni sviluppate dagli esperti americani in questo campo. Il suggerimento che viene sempre dato infatti è di cercare il coinvolgimento e di evitare l’uso della comunicazione impersonale, tranne nei casi in cui si punta a mettere tutto il fulcro del discorso non sulla relazione con il lettore ma sul contenuto e lo sviluppo dell’argomentazione. In pratica, conviene usare il tono impersonale solo nei casi di blog molto tecnici, dotati di livelli di analisi delle tematiche affrontate molto avanzati e quando la reader persona è ritenuta in possesso di una competenza equivalente a quella di chi scrive (e quindi non ha bisogno di essere stimolata in modo diretto, perché trova nella sua stessa cultura e competenza l’interesse alla lettura e all’eventuale dialogo con l’autore).
In tutti gli altri casi, coinvolgere direttamente i lettori giova quasi sempre. Ma gli americani e gli inglesi usano “you” per rivolgersi a qualsiasi interlocutore (anche alla regina!), ossia la seconda persona, sia singolare che plurale. Nella lingua inglese non c’è distinzione tra “tu”, “lei” e “voi”. Pensare quindi di tradurre semplicisticamente “you” con “tu” è una cantonata imperdonabile! Ma è proprio da questa castronata che deriva l’uso continuo del tu nei blog, dimenticando che l’italiano è una lingua più complessa e strutturata dell’inglese e che i riflessi sociali nell’uso della lingua sono molto più articolati rispetto a quelli che concede l’inglese. Il risultato è che anziché il coinvolgimento auspicato spesso si ottiene un effetto di repulsione al dialogo, che compromette parte delle potenzialità del blog o dell’attività di comunicazione di marketing.
I contenuti di qualità sono indispensabili per dare modo a un’azienda di distinguersi nell’universo online e di infondere fiducia e apprezzamento ai suoi clienti. Come è evidente anche nella tecnica più elementare dell’uso del tu o del voi, la creazione di contenuti efficaci è un processo complesso che richiede competenze specifiche e una buona esperienza. L’improvvisazione nel content marketing non paga quasi mai e anzi, in certi casi, può arrecare danni all’azienda e alla sua immagine.
Rivolgersi a specialisti nel campo della comunicazione online è spesso la soluzione migliore se si punta a ottenere risultati di valore. Noi siamo a disposizione di qualsiasi azienda che intenda sviluppare il proprio marketing online includendo azioni di content marketing realmente efficaci. Potete contattarci quando volete anche solo per chiedere dei consigli su come integrare il content marketing nelle vostre attività di digital marketing. In alternativa possiamo farci carico di tutto il lavoro di progettazione, pianificazione e redazione dei contenuti che possono servire a dare alla vostra azienda la massima visibilità nel web.
Dude, you’re totally right! 🙂
Articolo ben fatto, piacevole da leggere e soprattutto con contenuti interessanti e corretti! In Italia troppo spesso si finisce con il sostenere castronerie, magari per via di cattive traduzioni effettuate da chi scrive su blog e siti in genere.
Grazie del commento! Un giorno scriveremo un articolo su questo modo tecnicamente abbastanza arguto di raccogliere backlink al sito tramite commenti lusinghieri… 😉
Spunti di riflessione molto interessanti, tesi ben argomentate, conclusioni condivisibili: grazie!
Buongiorno, spero che questo discorso prosegua, tocca un punto molto interessante della comunicazione e noi clienti del writer che spesso ci poniamo questa domanda.
Sarebbe interessante poi spostarsi su brochure, cartelloni, locandine ecc. perché ho la percezione che ci sia una differenza di approccio da parte di chi “butta l’occhio” e poi decide se continuare a leggere, raccogliere o gettare il depliant, decretando così il successo o l’insuccesso di questo primo contatto che tanto è costato e chi lo ha preparato o pagato…